PIEMONTE- 18-04-2022-- E’ frequente che molti detenuti, secondo le norme dell’Ordinamento Penitenziario (Legge 354/1975), facciano ricorso all’autorità giudiziaria per denunciare la loro condizione inumana e degradante, spesso limitativa delle più elementari norme di rispetto della persona umana.
Un recente caso, deciso dieci giorni fa dalla prima sezione penale della Corte di cassazione (sentenza n. 13660/2022), fa discutere.
Un detenuto ha denunciato la sua condizione di mancato rispetto della persona, perché nella piccola cella di detenzione in carcere aveva il water, poco distante da un cucinotto e dalla branda.
Il detenuto condivideva la cella con altri detenuti. Secondo il detenuto, la sua condizione era degradante sia per il mancato rispetto della riservatezza, sia per motivi igienici.
Il Tribunale di Sorveglianza gli ha dato ragione, ma il ministero della Giustizia ha proposto ricorso in cassazione che lo ha dichiarato inammissibile confermando le ragioni del detenuto.
Bisogna ricordare che quando l’autorità giudiziaria riconosce la violazione dei diritti del detenuto, a norma dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, purché la violazione superi i 15 giorni, è riconosciuto al detenuto un risarcimento del danno pari alla detrazione di un giorno per ogni dieci ancora da scontare.
Nel caso della sentenza su richiamata, sono stati decurtati ben 244 giorni, cioè il detenuto occupava la cella in quelle condizioni inumane e degradanti da più di sei anni.