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DigadiMorasco2

12-1-2024 -- Concessioni idroelettriche, un tema al centro dell'agenda politica anche se alquanto trascurato dai media, un tema sul quale si gioca però il futuro benessere delle province montane e non solo. In ballo c'è un comparto strategico, quale, appunto, quello dell'energia - in questo caso della fonte rinnovabile per eccellenza - , settore che rischia di finire in mani straniere nel giro di pochi anni. In mezzo: un contenzioso sempre aperto con l'Europa, le richieste dei territori montani e quelle delle Regioni, e, soprattutto, la scadenza, nel 2029, nella gran parte delle concessioni per le grandi derivazioni idroelettriche. Si stima che l'80% di queste dovrà andare a gara.
Ma rimaniamo in Piemonte.
È qui che si produce il 15% dell'energia idroelettrica nazionale: con 1100 centrali (tra grandi e piccole) e 3100 megawatt prodotti. Sono una ventina le centrali con una potenza superiore ai 10megawatt, 339 in tutta Italia che complessivamente rappresentano l'83% della produzione idroelettrica nazionale.
Nel VCO sono 127 le centrali che l'Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani riporta nel dossier sull'idroelettrico realizzato in occasione dei 70 anni della legge 959, “Norme modificative al testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, riguardanti l’economia montana". Dalle centrali decisamente grandi come ad esempio la centrale Enel di Crevoladossola con i suoi 30.613,47 kW alle piccole centraline che non arrivano a 50 kW. Ciascuna, tuttavia produce reddito: per i concessionari, per il territorio o per entrambi. Gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, così come prevede la legge del 53, oltre al pagamento del canone di concessione, devono restituire ai comuni dei bacini imbriferi i cosiddetti “sovracanoni” una percentuale annua data in ricompensa allo sfruttamento della risorsa. All’epoca dell'entrata in vigore della legge, il sovracanone era fissato in 1300 lire per ogni chilowatt di potenza nominale media prodotta, oggi è stato aggiornato a 39,94 euro.

I sovracanoni idrici in Piemonte valgono 47 milioni di euro l'anno. Nel VCO i valori singoli variano molto, si va dai 2milioni 250mila euro della centrale di Premia, al milione 686mila di quella di Crodo, alle poche migliaia di euro delle realtà più piccole (Fonte:Uncem).
"Non è una regalia, ma il grande principio sancito dalla legge che acqua e forza di gravità hanno un valore - riferisce il dossier dell'Unione die Comuni montani -. Valore che deve essere riconosciuto ai territori montani dove questi beni vengono generati e protetti dalla stessa presenza della comunità attraverso la cura dei versanti, la tutela delle fonti".
Acqua calda
Come detto, nel 2029 molte grandi derivazioni andranno in scadenza (diverse anche nel VCO). Le concessioni andranno rimesse sul mercato. E qui si apre il fronte più delicato. Come potrà avvenire? E a quale prezzo?
L'idroelettrico è regionalizzato ma a dover decidere è lo Stato. L'Europa chiede all'Italia di aprire alle gare per le concessioni, l'Italia non ha deciso ancora, nel timore che grandi società internazionali, forti dei loro capitali, possano andare ad occupare un settore ritenuto strategico e che oggi è prevalentemente occupato da Enel (spa a maggioranza pubblica). L'Italia chiederà di prorogare le concessioni? Difficile che sia concesso. Quel che è chiaro, è che qualunque sia la decisone finale gli enti locali non vogliono rimanere spettatori nella ridefinizione dei canoni e dei sovracanoni. In quanto a questi ultimi, nel 2010 il Piemonte chiedeva di quantificarli nel 10% del gettito dell'idroelettrico (circa 150 milioni di euro).
L'emendamento
Di questi giorni un emendamento al decreto energia firmato da esponenti di FdI, FI, Lega, Noi moderati e Italia Viva sulla possibilità per le Regioni di "riassegnare direttamente al concessionario scaduto o uscente" le concessioni.
"Per l'avvio del procedimento - si legge - le regioni o le province autonome richiedono ai concessionari scaduti o uscenti di presentare una proposta tecnico-economica e finanziaria per ciascuna concessione o gruppo di concessioni da riassegnare". La proposta "dovrà prevedere la presentazione di un piano economico-finanziario integrato di investimenti pluriennali sugli impianti e sul territorio, con riferimento alla cadenza sia degli interventi di manutenzione alle opere passate in proprietà delle regioni e province autonome e sia degli ulteriori investimenti per il periodo di durata della concessione". In alternativa le regioni e province autonome possono costituire con il concessionario scaduto o uscente una società a capitale misto pubblico-privato.
La proposta del centro destra potrebbe però portare ad un contenzioso con l’Unione europea visto che la Commissione ha chiesto esplicitamente l’apertura del mercato idroelettrico con apposite gare e l’Italia si è dovuta adeguare (legge sulla concorrenza del 2021). La riassegnazione (che potremo definire una proroga mascherata) potrebbe rappresentare l'escamotage per impedire l'ingresso dei temuti operatori stranieri.
"La montagna che cede risorse chiede il giusto compenso”
Ma torniamo ai territori montani. Marco Bussone, presidente dell'Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani commenta: "La legge 959 del 1953 ci dice che i territori hanno un ruolo. Sono passati 70 anni e che si facciano le gare per i rinnovi delle concessioni delle grandi derivazioni o si prosegua con proroghe, i Comuni montani, con le Unioni montane e le Comunità montane non saranno spettatori muti in mezzo ai benefici del mercato. I territori montani dovranno contare di più. E diremo ai concessionari, nuovi o confermati, che l’acqua e la forza di gravità, per generare energia, sono della montagna. L’idroelettrico è strategico per l’Italia - nel quadro delle Green Communities - da valorizzare e potenziare anche con nuovi invasi, nuove dighe, nuovi impianti efficaci, pompaggi e altre soluzioni che però siano democratiche. Superare oggi le sperequazioni, secondo il modello del sovraccanone e anche del canone, che introitano le Regioni e devono destinare sempre ai territori montani, è decisivo non solo per la Montagna, bensì per il Paese".

Antonella Durazzo